sexta-feira, 18 de junho de 2010

• 03/2010 Seven Horizons - Seven Horizons
AutoprodottoDurata: 64,45
C'è tutto il bignami, il sunto della musica progressive dagli anni “70 ad oggi in questo nuovo lavoro, dopo il demo di debutto, dei Seven Horizons band sparsa per l'Italia e ...oltre. Innanzitutto la costruzione dei brani fatti di “momenti”, di chiaroscuri ed episodi quasi fosse una costruzione di concept-album anche se in definitiva non lo è. Una tematica di base però c'è ed è la ricerca spirituale interiore, la fede, l'incoraggiamento e l'edificazione personale nel più classico stile white-metal delle “christian band”, movimento di cui questi ragazzi fanno dichiaratamente parte anche se i brani sono e restano comunque indipendenti tra loro. La stessa lunghezza delle songs, quasi mai sotto i sei minuti (a parte l'omonima Seven Horizons), è chiaramente sinonimo di costruzione armonica che và oltre la semplice “canzonetta” ed infine l'uso di strumenti “vintage” come l'organo Hammond e la chitarra Ovation che evocano grandi epopee strumentali di Yes e Nice.

Buona l'apertura aggressiva di The System is Dead che ricalca l'epicità di certe situazioni dei Genesis e dei Marillion, ed anche la voce segue il calco segnato da Gabriel, a cui segue Into The Sunshine più sui lidi degli ELP specialmente nell'intro e nei bridge, ma sempre comunque guidata dalla tiratissima chitarra di Russo (scuola Steve Howe?), Empty Jail, Judgement Theory e The Miracle mantengono le promesse della buona caratura complessiva dei singoli strumentisti con pregevoli momenti di piano, specialmente quest'ultima, organo, chitarra e complesse architetture musicali che, scusate i continui riferimenti, riportano molto ai Dream Theater; sempre ad ottimi livelli la particolare voce del brasiliano Celso De Freyn. In the Wilderness ha un'apertura quasi hard subito mitigata dall'onnipresente suono dell'Hammond che la rende più lirica e meditativa, quasi una preghiera quale in fondo è. Goliath Head, oltre sette introspettivi minuti che sfiorano quasi la musica classica, uno dei momenti più alti dell'intero lavoro; imponente il lavoro al pianoforte e grande solo di chitarra. E' chiaro il riferimento biblico al salmo "Il Signore è il mio Pastore", forse una delle pagine più lette dell'Antico Testamento. Senza soluzione di continuità si passa a Pathway to the Throne dove giganteggia addirittura un minimoog di secolare memoria e la voce si fa teatro e pathos. War for the Earth che disegna paesaggi inquietanti per il genere umano destinato all'ultimo stadio se non vedrà “La Luce” e la strumentale e breve Seven Horizons, delicato momento ricamato anche da preziosi archi, chiudono i brani di originale composizione dell'assortito quartetto. Segue la cover di Ancient of Days (il nome di Dio in aramaico ma anche per i Mormoni), originariamente un gospel di grande diffusione del Rev. Ron Kenoly qui in una versione molto rock a dispetto della religiosità del canto originario. La canzone oltre che il testo in inglese ha anche un frammento in lingua italiana forse per portare e diffondere più chiaramente il messaggio biblico che contiene.

Che dire di un lavoro caratterizzato, oltre che dall'aspetto strettamente “religioso” (i ragazzi sono assidui frequentatori della Chiesa Apostolica), anche da panorami musicali elaborati e inconsueti per i nostri giorni improntato come è a desueti richiami prog che vanno dalle antiche sonorità della PFM alle più moderne scuole di Toto, Kansas, Dream Theater e, perchè no, anche da qualche influenza hard dei Metallica in certi refrain di tecnica chitarristica. Una band da scoprire, da ascoltare molto prima di metabolizzare completamente la lettura dei brani ma da tenere sicuramente d'occhio. Li aspettano varie tournèe in Sudamerica e sono molto conosciuti nel Nord-Europa dove hanno suonato anche con gli americani Petra, indiscussi alfieri del movimento R&R (rock-religion). Se son rose fioriranno...

voto 7 / 10

FONTE: POWERMETAL.IT

http://www.powermetal.it/demo_detail.php?id=00200



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